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CAVE DI TUFO A FAVIGNANA
di Maria Guccione
Vicepresidente della Pro
Loco di Favignana e titolare
dell'Albergo Ristorante Egadi
Materiale tratto in parte da relazioni tenute
a Favignana durante la Settimana delle Egadi del 1988 e liberamente rielaborate.
Favignana è costituita da una grande pianura attraversata al centro da una
collina. Nella parte esposta ad oriente i terreni sono collocati su strati di calcarenite
quaternaria, stratificata secondo ritmi di sedimentazione di circa mezzo metro, con
giacitura quasi orizzontale. La calcarenite, ricca di fossili che ne testimoniano
l'origine marina (lamellibranchi, coralli...), sedimenta in forme abbastanza compatte che
si prestano ad essere estratte ed usate come pietra concia a scopo edile, conosciuta col
nome di tufo.
Il tufo fu per secoli, insieme con la pesca e
l'agricoltura, fonte primaria di guadagno. Lo sfruttamento risale ad epoca antichissima,
ma fu soprattutto nel periodo compreso fra il 1700 e il 1950 che raggiunse il massimo
sviluppo.
I Florio diedero sicuramente un forte impulso
all'uso del tufo di Favignana, lo ritroviamo infatti nel palazzo di Favignana, nella villa
dell'Arenella, a Villa Igea, etc.
L'estrazione del tufo occupava un gran numero
di tagliapietre, parte dei quali lavoravano in cave a cielo aperto, altri alla luce
dell'acetilene, in ingrottamenti che si snodavano per centinaia e centinaia di metri nel
cuore della terra; dentro la roccia sedimentaria si muoveva un esercito di cavatori
abilissimi, manovali e carrettieri oltre che marinai che esportavano il carico in
terraferma con gli "schifazzi". Si pensi che molti palazzi di Tunisi sono stati
costruiti con tufo di Favignana, e con esso fu ricostruita Messina dopo il terremoto del
1908. Era una categoria di lavoratori così consistente che il Crocefisso, loro Santo
protettore, divenne patrono dell'isola. Fu grazie al loro lavoro che si venne formare
questo "habitat pietriforme" che connota l'isola di Favignana, frutto della
fatica, del rapporto uomo-natura, "pirriaturi"-prodotto della terra, che si
trasforma e diviene case, palazzi, muretti, monumenti....
É sicuramente un tema affascinante quello di cercare di
capire che senso abbiano avuto le cave di tufo nell'identità storica delle Egadi, nelle
loro vicende umane, nella storia della loro economia, e quali prospettive e collocazione
possano ancora avere per il futuro. Conoscerne la storia è certamente di grande aiuto
nella rilettura del passato delle Egadi e getta una luce molto positiva su di una
popolazione che fu molto attiva ed ingegnosa. Ma ciò che manca è una parola definitiva
capace di costituire scelta per il futuro di questa preziosa realtà che rischia di giorno
in giorno di degradarsi; realtà che oltretutto non può restare isolata, ma che va
innestata nella storia delle cave e dei cavatori dell'entroterra (Marsala, Mazara,
Custonaci) con una operazione globale di integrazione territoriale e culturale.
Il tufo connota l'isola di Favignana in una
maniera quasi esaperata; dovunque il tufo si legge e si legge in tanti aspetti: si legge
come materiale da costruzione, pietra, case, muri, sculture, ma si legge anche come luogo
stesso, cioè montagne, scogli e poi cave, oggi spazio vuoto, contraltare dello spazio
architettonico, spazio fantastico che lascia immaginare un labirinto o un antro del
ciclope o un luogo scultoreo dove l'escavazione ha lasciato come segni tangibili colonne,
capitelli, figure stilizzate, trine e ricami di pietra.
Prima dei Borbone in Sicilia non esisteva
alcun controllo sulle zone demaniali delle coste, per cui il cavatufo vi si sceglieva il
suo pezzo di terra dove scavare la sua cava di cui non doveva render conto a nessuno. Egli
era imprenditore ed artigiano insieme e poteva decidere liberamente come lavorare e a chi
vendere il prodotto. L'introduzione in epoca borbonica del demanio trasforma il
"pirriaturi" in salariato alle dipendenze del padrone della terra e spesso di un
intermediario. Oggi le cave hanno concluso anche l'ultima attività residua mantenuta
negli ultimi anni solo per il consumo locale.
Dal dopoguerra in poi il tufo è andato fuori mercato per almeno due ragioni:
a) l'evoluzione del trasporto su strada che ha fatto emergere come fattore negativo la
condizione insulare, causa di alti costi,
b) l'avvento dei sistemi industrializzati nell'edilizia (cemento armato) che comporta la
richiesta non più di una pietra pesante e resistente come materiale portante, bensì la
richiesta di una pietra sottile e leggera (pomice, laterizi) come materiale di
rivestimento.
Di recente il tufo ha attratto l'attenzione delle varie
Sovrintendenze, soprattutto da quando ci si è resi conto del valore dei centri storici e
dell'importanza di recuperare il costruito, cioè quell'enorme patrimonio archeologico e
abitativo spesso fortemente degradato. L'uso del tufo di Favignana per il recupero ed il
restauro monumentale è particolarmente indicato, perché si tratta di un tufo più tenace
degli altri, resistente agli agenti atmosferici e di un colore che si può facilmente
"invecchiare" in modo artificiale. Proprio per queste ragioni vi si è fatto
ricorso, già dagli anni '60, per alcuni importanti restauri come Palazzo Steri e l'ex
Galleria Nazionale di Via Alloro a Palermo.
La prospettiva non può essere certo quella di riaprire le
cave per scopi edilizi, ma di farne un uso discreto e limitato al solo recupero del
costruito monumentale. Quest'uso richiederebbe altresì bravi artigiani da formare tramite
corsi e seminari, utilizzando, prima che sia troppo tardi, i pochi vecchi artigiani
rimasti i quali porteranno con se nella tomba un patrimonio inestimabile di conoscenze, se
non provvederemo in tempo utile ad utilizzare la loro esperienza e le loro capacità.
A ciò va aggiunta la necessità di un
controllo attento idoneo ad evitare che, almeno le cave più belle, non vengano interrate
e coperte di immondizia, perché si tratta di un patrimonio di grande valore antropologico
che, una volta distrutto, non potrà più essere ricostruito.
Non abbiano timore i proprietari di vecchie
cave, esse possono tornare a produrre reddito, ma vanno considerate non più in una
prospettiva economica legata alla pietra estratta, ma legata alla loro valorizzazione
storica e ambientale: vanno considerate come spazio vuoto, scavato con una connotazione
fantastica che va dal labirinto alla scultura, dallo spazio scenico al giardino. L'ideale
sarebbe un MUSEO DELLE CAVE, con itinerari guidati, correlato ad un Museo storico dei
"pirriaturi" e dei loro strumenti, da cui emerga la sapienza antica dell'uomo
nel suo rapporto con la pietra. Il tufo è l'immagine di Favignana geologica e le cave
sono la geografia di questo bisogno umano di creare, scavare, trarre sostentamento dalla
terra. Tutte da visitare e mostrare ai nuovi e più motivati turisti del duemila
desiderosi di "ambiente": le cave antiche con le loro suggestioni grandiose;
quelle moderne con gli spazi scenici enormi; gli ingrottamenti con la pazienza e la
capacità ingegneristica del vecchio "pirriaturi" (che lavorava alla luce
dell'acetilene), ma anche dei primi abitatori fenici e paleocristiani; le cave giardino
con le piante e gli odori propri di quest'isola come capperi, melograni fichi e origano.
Nell' ambito delle cave Museo, accanto agli itinerari guidati che raccontino la storia del
tufo e dei "pirriaturi", andrebbero inseriti vari tipi di manifestazioni
culturali (mostre di pittura, studio dei fossili, concorsi fotografici...). E' questo
l'unico modo per far sì che ciò che il tufo ha lasciato, torni ad essere una risorsa
economica, pur nel rispetto della storia, dell'ambiente e delle nostre radici. |
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